Siena

Siena e il palio…ma non la corsa!

Giulia raffaelli
di Giulia Raffaelli

Buongiorno a tutti! Con questo articolo vorrei parlarvi del Palio. Eh sì, lo so che questi senesi sono fissati con le contrade, la loro identità, le due corse di cavalli annuali…eppure non parlerò di niente di tutto ciò, ma bensì del palio.
Come, hai detto adesso che non parlerai del Palio, e ora dici che parlerai del…palio?

Beh, in questo caso una maiuscola o una minuscola fanno la differenza!
Il Palio è sì la corsa dei barberi montati a pelo in Piazza del Campo (e se di questo non sapete niente, ci sarà occasione di approfondire).

Ma la corsa prende il nome dal ​pallium,​ la stoffa, lo stendardo che veniva dato al vincitore già dal Medioevo. E che viene dato tuttora!

Ma come si dice, acqua ne è passata sotto i ponti, e ci sono stati tanti cambiamenti.
Per non fare confusione, d’ora in avanti scriverò Palio se parlerò della corsa, e “drappellone” o “cencio” (cioè straccio, perchè potrebbe essere anche uno stendardo tutto bianco, ma una volta che l’hai vinto diventa la cosa più preziosa al mondo!) quando mi riferirò alla stoffa.

Lo sapete che il cencio a quei tempi era preziosissimo?

Si trattava infatti di una stoffa pregiata, velluto per lo più, ricamata in oro o argento, e spesso rivestita da code di vaio (scoiattolo, diremmo noi oggi) o altra pelliccia. Così preziosa che, se non era disponibile, veniva sostituita da brocche o piatti d’argento massiccio. Nel ‘600 la sua lunghezza aumenta così tanto che il Governo di Siena (a queste date la città è retta da un Consiglio di Balia sottoposto al Governatore imposto da Firenze, perché dal 1559 siamo stati accorpati al ducato mediceo) è costretta a dare dei limiti di lunghezza, e addirittura il Granduca fiorentino si lamenta di questi spendaccioni dei senesi che ogni volta danno fiorini e fiorini di stoffa al vincitore! Poiché il Palio corso dai nobili, quello del 15 agosto – non del 16, badate bene! – aveva come traguardo il Duomo, in alto sulla collina, il drappellone era appeso alla colonna colla Lupa posta di fronte al sagrato della cattedrale, a sventolare in attesa del primo arrivato.

Per il palio del 16 agosto, o anche del 2 luglio – quelli alla tonda in Piazza, per intendersi – si appendeva alla colonna, anch’essa con la Lupa, di fronte a Palazzo Pubblico.

Cosa è rimasto di queste stoffe meravigliose?

Praticamente niente, perchè quelli vinti dai nobili andavano alle loro famiglie, quelli vinti dalle contrade nei palii alla tonda andavano spesso alle compagnie laicali con cui le contrade stesse dividevano gli oratori e le chiese: in entrambi i casi erano quindi trasformati, o in vestiti o vesti sacerdotali: figuriamoci se andavano sprecati!

Pian piano però questi stendardi hanno cominciato ad essere decorati dagli stemmi delle famiglie che si occupavano dell’organizzazione della festa, quale che fosse, e anche da immagini sacre. E quale era l’immagine più diffusa, più adorata a Siena? Chiaramente la Vergine!

Quindi si dipingono in due modi diversi: a luglio con l’effige della Madonna miracolosa di Provenzano, un mezzobusto tuttora conservato nella Basilica omonima, ad agosto con la Madonna Assunta, a figura intera, patrona della Cattedrale cittadina.

palio siena

Già questo cominciò a differenziare i due cenci, e anche guardando i più antichi che oggi abbiamo conservati è facile capire quando è stato vinto, se a luglio o ad agosto.
Per più di un secolo l’iconografia non è mai cambiata, ed è stata realizzata da pittori di cui nessuno si è preoccupato di tramandare il nome.

Dagli inizi del ‘900 invece la città si risveglia, diventa meta di un turismo internazionale, il NeoGotico ed il NeoMedievale vanno per la maggiore, per cui anche il Palio si scrolla di dosso la polvere e lustra i panni, sia come evento cittadino che come rappresentazione.

I drappelloni sono affidati a pittori locali, magari usciti dall’Accademia di Belle Arti cittadina (come Vittorio Giunti, Bruno e Aldo Marzi) che li riempiono di alfieri, tamburini, bandiere sventolanti, cavalli, fanti, mura merlate e richiami al Medioevo. Quello che non deve mai mancare, comunque, è l’immagine della Vergine di riferimento, ed i tre stemmi emblema della città: la balzana, lo scudo bianco/nero, lo stemma del Capitano del Popolo, un leone rampante in campo rosso, e lo stemma Libertas, con la parola latina scritta in oro su campo azzurro.

Si tratta dei cosiddetti “palii panforte”, perché gli stessi artisti erano spesso incaricati di realizzare il packaging, diremmo oggi, dei dolci senesi, ricciarelli, panforti, cantucci, che stavano spopolando in Italia e non solo.

Per quasi 50 anni questi sono stati i nostri cenci, ma negli anni 70 tutto cambia: grazie all’intuizione geniale di Roberto Barzanti, l’allora sindaco di Siena, la realizzazione dei drappelloni viene affidata ad artisti conosciuti. Famosi. Di norma si tratta, a luglio, di un artista senese, mentre ad agosto si chiama un pittore italiano o anche di fama internazionale.

E si tratta di una committenza a suo modo complicata, perchè il popolo senese e contradaiolo non è per niente facile. Intanto, non è che oggi gli artisti abbiano regole imposte, in genere creano e mettono sul mercato; qui invece devono dipingere su seta, in un rettangolo stretto e lungo, con regole stringenti.

Devono infatti trovare posto ai tre stemmi canonici più lo stemma del sindaco (il sindaco di Siena deve inventarsi un’arme, ve lo sareste immaginato nel XXI secolo??), ai colori, agli stemmi o agli animali delle 10 contrade che corrono il Palio in questione, e soprattutto all’immagine della Vergine, più quello che a loro piacere credono più attinente alla festa e alla tradizione: spesso sono cavalli, o lo skyline di Siena, o un tema specifico se ci sono anniversari, centenari etc.

Certo, gli artisti spesso hanno superato ogni aspettativa: c’è chi ha ricamato l’opera, chi ha dipinto entrambi i lati, chi ha sconvolto ogni canone precedente, chi ha apposto medaglioni in terracotta colorata, o in metallo, a evidenziare forse come a volte le regole esaltino la creatività e la voglia di stupire.

Capite comunque che non è un gioco da ragazzi, per nulla.
Il cencio di luglio, dipinto da senesi e con l’immagine di Provenzano ben codificata e tuttora visibile in basilica, dà diciamo meno problemi, ma anche meno spazio creativo. Quello di agosto, dipinto da “esterni” e con una Maria Assunta che può essere immaginata in molti modi, ha avuto versioni diciamo controverse, qualche volta anche osteggiate dai senesi, a cui il cencio viene presentato sei giorni prima della corsa nel Cortile del Podestà in Palazzo Pubblico, ed i fischi non sono così infrequenti.

Tant’è, una volta vinto, bello o brutto, lo adoriamo, sta nel nostro museo e diventa prezioso più dell’oro.
Tanto per farvi qualche nome, abbiamo in città cenci – e che cenci!- di Jon Dine, Botero, Guttuso, Aligi Sassu, Sandro Chia, Jean Michel Folon, Igor Mitoraj, e potrei continuare per un bel po’, sparsi nei 17 musei delle 17 contrade.

Quindi, abbiamo 17 musei di arte contemporanea in città, cosa che non tutti sottolineano a dovere.
E visitarli, soprattutto con l’aiuto di una guida turistica che vi spieghi il retroterra di questi stendardi di seta (lo so che con questo articolo ho sollecitato più domande e dubbi che offerto risposte…) può essere un’esperienza trascinate, anche per i bambini, che in questo mondo di cavalieri e trombe squillanti sono a loro agio completamente.

Se volete farvi una carrellata di pali vi consiglio di visitare il sito​, troverete un archivio infinito di notizie e foto.

Per adesso vi saluto, e se avete domande su Siena, scrivetele pure nei commenti. Alla prossima!

Guida turistica di  – Giulia Raffaelli

Giulia Raffaelli

Sono una guida turistica e accompagnatrice turistica residente in provincia di Siena. Ho una laurea in storia dell’arte, due figli, un cane, una gatta e due tartarughe. Anche un marito, fra parentesi, e un amore folle per la mia terra.…
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