Napoli

Il Mausoleo Schilizzi a Posillipo

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di Claudia Palazzolo

Da ara privata a pantheon degli eroi napoletani; storia di un monumento dimenticato

Al visitatore che decida di recarsi a Posillipo per ammirare le bellezze del panorama e gustare le delizie dell’architettura Liberty sparse sul territorio collinare, non deve sfuggire un edificio monumentale insolito, veramente unico nel suo genere. Si tratta dell’enorme mole di un Mausoleo in stile neoegizio che si erge lungo la panoramica via Posillipo e la cui cupola, svettante su un altissimo tamburo, si distingue fra i caseggiati della costa.

Come una gemma incastonata in un gioiello prezioso, il Mausoleo Schilizzi si innesta in uno scenario naturale fatto di piante ad alto fusto disposte scenograficamente lungo due viali che conducono all’ingresso principale. Si accede al Mausoleo attraverso un enorme cancello in ferro battuto recante i simboli del loto e dell’ibisco e subito si entra in un mondo senza tempo, dove riemergono i ricordi di una storia ormai trascorsa.

Ma qual è esattamente la storia di questo singolare edificio, oggi negletto?

È in realtà una storia d’amore, di passione, ma anche di autoreferenzialismo e poi di oblio.

Bisogna partire dalle vicende di Matteo Schilizzi, un facoltosissimo banchiere livornese giunto a Napoli negli anni ’80 del XIX secolo, accompagnato dalla sua fama e da un cospicuo conto in banca che gli servì per numerosi investimenti ed anche per il suo impegno filantropico in favore dell’asilo Regina Margherita. Ma non di solo dovere vive l’uomo…Schilizzi tra un impegno e l’altro non disdegnava feste e balli organizzati dalla migliore società partenopea, occupandosi anche di allestirne alcuni rimasti memorabili per lo sfarzo e la munificenza.

E tuttavia una sorte avversa attendeva anche Matteo Schilizzi, come ci racconta Edoardo Scarfoglio di cui il banchiere divenne amico:

“[su di lui] si andò cristallizzando una leggenda alla quale concorsero più elementi: l’origine lontana, la fama favolosa della ricchezza, e il destino mortale che pareva accanito inesorabilmente contro la sua stirpe” (E. Scarfoglio, <<Il Mattino>>, 26 marzo 1905).

Accadde che l’amato fratello del banchiere, Marco, morì in guerra. Cosa decise di fare allora l’inconsolabile Matteo, dotato non solo di una fortuna faraonica ma anche di una personalità narcisistica e a dir poco bizzarra? Niente di meglio che dedicare al fratello un intero Mausoleo, sorretto da colonne monolitiche in marmo di Baveno e dotato di ben quattro pilastri di granito grigio alti dieci metri ciascuno. Un’impresa titanica, affidata all’architetto Alfonso Guerra (1845-1920), allievo di Errico Alvino e già famoso a Napoli per altre importanti opere. Ne nacque un edificio enorme, di circa sedicimila metri quadri, in perfetto stile neoegizio ed abbellito dalle statue di un noto scultore napoletano. L’ingresso del Mausoleo è infatti simbolicamente affiancato da due enormi cariatidi in bronzo, le Cariatidi Pace, opera di Giovan Battista Amendola (1848-1887), mentre il tamburo della cupola è ornato da ben nove cariatidi in marmo, le Cariatidi Guardia, sempre dello stesso autore.

Nel 1889 improvvisamente i lavori si interruppero. Incredibile a dirsi, il tanto millantato amore fraterno si affievolì, o forse l’operazione di marketing da sempre alla base dell’intervento perse di interesse (Schilizzi iniziò tra l’altro a soffrire di stati depressivi) o forse, più prosaicamente, finirono i fondi.  Anche se i lavori erano in gran parte già terminati, mancando solamente la copertura della navata centrale, le decorazioni dello spazio interno ed i viali di accesso, l’immensa mole del Mausoleo venne traghettata verso l’oblio.

Piazza del Plebiscito

I pochi napoletani che si avventuravano all’epoca in una Posillipo ancora scarsamente popolata,  nota per la sua dimensione solitaria e decentrata, cominciarono a percepire un’aura di mistero intorno alla costruzione, ingigantendo – se mai ce ne fosse stato bisogno – il mito dello Schilizzi, della sua fraterna passione, della sua romantica incostanza; la vegetazione circostante fece il resto e l’edificio rimase abbandonato fino al 1916 quando gli eredi, desiderosi di liquidità, proposero una demolizione allo scopo di lottizzare il terreno. Camillo Guerra, figlio di Alfonso, si oppose fieramente all’operazione e per primo propose la riqualificazione del Mausoleo in sacrario per i caduti del primo conflitto mondiale. Il Guerra, giustamente desideroso di rinsaldare l’opera paterna, e l’ingegner Tommaso D’Angelo, nominato erede dallo Schilizzi, si dettero un gran da fare per impedire agli speculatori di demolire e lottizzare. L’allora Sindaco di Napoli appoggiò l’iniziativa e già nel maggio del 1929, in un’affollata cerimonia cui intervennero artiglieria, fanteria, mogli e madri, il Mausoleo venne consacrato alla gloria di tutti i caduti partenopei. La stampa trionfalistica dell’epoca descrive il monumento come un mausoleo unico, affacciato sul mare nostro, superbo come un’affermazione, vigile come un ammonimento.

Poteva mancare a questa vicenda il tocco dell’anima femminile? Assolutamente no.

L’idea della riqualificazione, infatti, non era venuta solo al D’Angelo e al Guerra, ma anche ad una nota gentildonna napoletana, Anna Martinelli, vedova De Nicola che si connotò come il deus ex machina di un’intricata situazione burocratica. Fu infatti la contessa a versare l’ingente somma di 400.000 lire chiesta dagli eredi Schilizzi, risolvendo così con spirito a dir poco filantropico un’annosa questione.

Cosa è rimasto oggi di questa vicenda?

Un edificio ormai poco visitato, spesso chiuso al pubblico, ignoto, purtroppo alla maggior parte dei napoletani stessi, che meriterebbe invece di essere nuovamente restaurato e reso fruibile, perché segno concreto di una storia trascorsa le cui vicende intrecciatesi con avvenimenti più moderni hanno reso possibile l’erezione di un monumento davvero unico, sicura testimonianza dello stile architettonico eclettico di fine Ottocento e monito contro l’inutilità e la ferocia di tutte le guerre.

Guida turistica di  – Claudia Palazzolo

Claudia Palazzolo

Sono nata a Roma, ho vissuto l' infanzia a Benevento e poi sono approdata a Napoli, dove vivo. La mia storia è un mix interculturale con un unico tratto in comune: l'amore per l'arte e per la mia Partenope, di…
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