Napoli

La Compagnia della Morte

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di Mimma Macrì

Oggi il mio girovagare per Napoli mi ha condotta davanti ad una delle porte superstiti dell’antica città, quella affacciata su via Foria: Porta S. Gennaro.  Incastonata tra palazzi e botteghe, la porta a volte sfugge all’occhio del turista, ma chi la scorge non può che rimanere affascinato dagli affreschi che la ricoprono, ancora riconoscibili seppur danneggiati dal tempo.

Il pittore chiamato a dipingere questa, e le altre porte di Napoli, fu Mattia Preti, il “Cavalier calabrese”. Egli, insieme con Aniello Falcone, Micco Spadaro e Salvator Rosa, fu ritenuto essere parte di una schiera di pittori seicenteschi a capo di una sorta di associazione denominata “Compagnia della Morte”: essi erano conosciuti non solo per il magistrale utilizzo del pennello, bensì anche per la malcelata idiosincrasia verso gli spagnoli che dominavano la città.

 

Il primo a parlare di “Compagnia della morte” fu il De Dominici nelle sue “Vite”, descrivendo una Napoli vicereale pregna di povertà e di violenza, colpevole di abusi verso tante giovani donne. Secondo il De Dominici la Compagnia agiva sia di giorno che di notte per vendicare l’onta subita dalle fanciulle, dando prova di saper manovrare la spada tanto bene quanto il pennello. Le dettagliate descrizioni del De Dominici non trovano però riscontro in nessuna delle pubblicazioni dell’epoca.

Il dubbio si fa quindi strada: sarà mai esistita, una tale Compagnia?

Dopo attente ricerche si osserva che fino al 1884 non emergono altri documenti relativi alla Compagnia della Morte. E’ solo nel 1913 che si arriva ad una svolta riguardo al mito dei “pittori spadaccini”: Giuseppe Ceci, nel suo saggio La Compagnia della morte, ne individua l’esistenza grazie ad un rarissimo opuscolo relativo ad un processo svoltosi nel 1648 ai danni di una omonima Compagnia: immaginate però la sorpresa nello scoprire che nessuno dei noti pittori faceva effettivamente parte della banda! Le prove documentarie descrivono gli adepti come appartenenti ad un’orda di delinquenti che, armati di spade e pugnali, per tutto il ‘600 e parte del ‘700 seminarono il terrore tra le vie di Napoli.

porta san gennaro

Niente a che vedere, dunque, con i nostri amati pittori, che probabilmente furono erroneamente indicati dal De Dominici come aderenti alla Compagnia della Morte grazie alle loro indubbie qualità di pittori di battaglie ed alla loro indole irruente, tipica di una società mediterranea in continua lotta per la sopravvivenza. La nuova tesi viene appoggiata nel 2008 da Fiorella Scricchia Santoro che, nella sua versione de Le Vite di De Dominici, afferma che la Compagnia della Morte con a capo il pittore Aniello Falcone sia una certa invenzione del biografo napoletano.

È quindi con tanta nostalgia che siamo costretti ad abbandonare il mito del pennello e della spada, ma ciò non inficia il nostro giudizio sulle notevoli capacità pittoriche di questi artisti che, muovendosi in una Napoli post-caravaggesca, seppero distinguersi tra gli altri attraverso una propria cifra stilistica, senza però mai rinnegare un legame comune di condivisione e di scambio di idee, seppure in contrasto con il governo dell’epoca.

 

 

 

Fonte: Revista Eviterna – Maria Gaia Redavid (Università degli Studi di Roma Sapienza, Italia) La Compagnia della Morte tra realtà e leggenda

Guida turistica di  – Mimma Macrì

Mimma Macrì

Mi chiamo Mimma e sono guida turistica autorizzata dal 1996. Ho scelto questo lavoro già dai tempi della scuola, studiando le lingue straniere e la storia dell'arte. Negli anni ho approfondito le mie conoscenze sulla regione Campania, dove vivo ed…
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